Finché si è capaci di sognare
la felicità può esistere
Luciana Navone Nosari nasce a Villar Perosa, da genitori che hanno lasciato Torino per motivi di lavoro. Da qui l’amore che troviamo, nei suoi libri, sia per la Val Chisone sia per la città. Sin dai primi anni della sua vita scopre la passione per il disegno e la pittura e, non appena impara a scrivere, capisce che riempire pagine e pagine di pensieri e impressioni costituisce per lei un’esigenza incontenibile.
L’autrice a 18 mesi, per mano alla sua mamma, davanti alla stazione di Porta Nuova.
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A 4 anni, in Val Chisone, vicino a un campo di narcisi…
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Insieme ai genitori e al fratello Mario, nella casa di Villar Perosa.
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Nell’adolescenza si trasferisce a Torino, che non lascerà più, per proseguire gli studi presso il Circolo Filologico, Istituto ‘rigorosamente’ femminile.
Con alcune compagne di classe del Circolo Filologico.
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Accarezza il sogno di dedicarsi al giornalismo, ne segue un corso con la speranza e l’intenzione di entrare in una redazione, ma questi obiettivi subiscono una radicale trasformazione quando incontra l’uomo della sua vita.
Dopo il matrimonio e la nascita dei due figli continua a dipingere e a scrivere con passione. Nel partecipare a mostre personali e collettive riceve alcuni riconoscimenti in concorsi pittorici estemporanei e nel frattempo, prima di dedicarsi esclusivamente alla prosa, cura un’ampia raccolta poetica partecipando, e vincendolo, al concorso televisivo ‘Poeti al video’. Numerose sue poesie vengono pubblicate sui volumi ‘Poeti al video’ e ‘Tendenze poetiche’, entrambi editi da Villar Editore, Roma.
Divide il proprio tempo tra la famiglia (marito, figli e due nipotine, Chiara Luce detta ‘Nocciolina’ e Viola), la pittura su tela, ceramiche, stoffa, découpage e trompe l’oeuil. Sopra ogni cosa, però, nei ritagli di tempo e sovente durante le ore notturne, trasferisce le proprie emozioni e costruisce storie di fantasia su un computer che utilizza come macchina per scrivere.
Dalla casa dell’autrice, ‘vista’ sulla Chiesa Madonna degli Angeli e sul tiglio…
…tiglio che ha ispirato il secondo libro, Profumo di tiglio…
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Purtroppo, la mattina dell’8 marzo 2009, al suo risveglio l’autrice non credette ai propri occhi: nell’affacciarsi sul cortile della chiesa Madonna degli Angeli, con sgomento constatò che il tiglio non esisteva più! Il suo gigantesco, forse secolare o plurisecolare tronco era stato sezionato in tanti pezzi, ma coloro che, con chissà quale maniacale criterio, se non avevano rispettato quel polmone vitale e profumato, si erano premurati di disporre ordinatamente i grandi ciocchi contro il muro della corte.
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Fra gli angoli caratteristici della sua città, i palazzi barocchi, le piazze monumentali o in miniatura, ritrova e riscopre l’atmosfera descrittale nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza da quei genitori vissuti fra il centro storico, il Po, i ponti, i borghi. E l’aria che si respira, si vive nel ‘borgo’ dove abita attualmente è per lei una preziosa fonte di ispirazione. In quella Torino ‘città magica’ sono infatti ambientate le sue storie, velate di misteri da rincorrere e da svelare, insieme al profumo delle ‘radici valligiane’ che racchiudono i ricordi infantili incontrati dapprima in Carezze di Luce e poi in Profumo di tiglio e Specchi di ghiaccio. Nell’Antologia Turin Tales, un caffè a Torino, riscopre invece una via Garibaldi rivisitata tramite i ricordi della figura materna, dove pare che il caso (ma il caso non esiste!) le abbia fatto re-incontrare l’omino in ceramica dalla testa mobile…
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CAREZZE DI LUCE
Biografia della madre dell’autrice, a cui è dedicato il libro, come ‘piuma accarezzata da una Luce senza brezza e senza fine’. Dopo aver ripercorso gli anni della prima guerra mondiale, dell’epidemia di ‘spagnola’, dei numerosi lutti che hanno decimato la famiglia materna, l’autrice descrive i disagi subiti dai genitori e dal fratello col secondo conflitto mondiale, la loro condizione di ‘sfollati’ in seguito ai bombardamenti che ne hanno distrutto la casa, i faticosi tentativi di ricostruzione fino ad arrivare alla sua nascita, ai suoi rapporti con una madre che la seguirà non soltanto in vita, ma anche oltre… Difatti, volteggiando su memorie e ricordi lontani, ecco giungere la luminosa carezza di una voce che racconta di una dimensione così vicina a noi, così ricca di amore…
‘Leggo e rileggo quanto mi hai detto, con semplicità e determinazione, senza riuscire a credere a quanto mi sta accadendo…
“Sono abbagliata e affascinata da una luce senza inizio, di cui non vedo i confini, rapita da una musica che mi avvolge di note delicate, rassicuranti, divine… Come piuma priva di peso, spinta da una brezza senza vento, sospesa ad un niente-tutto che mi àncora senza trattenermi. Ti vedo vicina a me, lontana da qui, unita al mio sempre…
Rivolgo uno sguardo al’indietro, e scorgo tutto, ma proprio tutto, di me…”
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PROFUMO DI TIGLIO
Il profumo del tiglio risveglia in Maddalena il ricordo e la nostalgia per i vecchi amici d’infanzia. Decide dunque di riunirli sotto l’albero ‘magico’ per ascoltare come abbiano trascorso i tanti anni passati lontano da lei, ma un delitto avvenuto nel cortile del palazzo dove abita e la conoscenza di un personaggio enigmatico spingeranno il gruppo a inseguire le tracce del colpevole per smascherarlo. Casualmente è proprio uno di loro, Gualtiero, il commissario di polizia che svolge le indagini sull’omicidio ed è così che i due ex compagni di gioco, tra una Torino velata di misteri e la val Chisone, ricompongono la realtà offuscata dall’enigma. Il primo intreccia una trama dettata dalle esigenze della ragione, mentre la seconda interpreta i fatti cogliendone una trama più profonda, più vera. In un susseguirsi di continue revisioni della realtà, la storia mette in scena l’eterno conflitto fra ragione ed emozione, risolto a favore di quest’ultima.
- Avete sentito parlare dell’omicidio Federici? – domandai. – Come no! – intervenne Orfeo, – conoscevo bene quel magistrato! – Che cosa c’entra con voi due? – si meravigliò Marzia. – Il delitto è avvenuto nel cortile dell’edificio adiacente, che ha un ingresso in comune con questo palazzo, – precisai e lo stupore fu corale.
È così che Gualtiero e Maddalena, tra una Torino salottiera e corrotta e l’alta Val Chisone, ricostruiscono la realtà offuscata dall’enigma. Il primo intreccia una trama dettata dalle esigenze della ragione; la seconda interpreta i fatti cogliendone una trama più profonda, più vera. In un susseguirsi di continue revisioni della realtà, la storia mette in scena l’eterno conflitto tra ragione ed emozione, risolto a favore di quest’ultima.
«Il tiglio era stato attento uditore delle nostre storie e il suo profumo aveva fatto da cornice alle vicissitudini di un epilogo mai scontato, sussurrandoci l’aura di una certezza: quella che al di sopra di ogni dolore e di ogni tragedia, comunque si fossero conclusi i nostri parziali percorsi di vita, la gioia di rimanere uniti avrebbe continuato ad arricchire i nostri cuori…
Le poche foglie superstiti caddero sulle nostre risate: erano foglie di fine autunno, prive di profumo, ma in noi c’era la forza per immaginarlo, evocarlo. Chiudemmo gli occhi, aspettando che diventasse realtà. E puntualmente arrivò, avvolgendoci con la sua magia. Era lì con noi, perché nel sogno sta il segreto della felicità… Finché si è capaci di sognare la felicità può esistere. E, arrivando, sorprenderci ancora una volta. Come ci sorprende la vita. Ché è vita».
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SPECCHI DI GHIACCO
La vicenda è ambientata nella Torino delle Olimpiadi invernali. Avvolta dalla magia della fiaccola, la giornalista Luce ritrova Tullio, per il cui abbandono prova ancora un livido rancore, mentre la nobildonna Berenice Dorio cerca invano di affossare l’incubo iniziato quarant’anni prima e di evitare lo specchio di ghiaccio dove compare l’orrore per il suo segreto. L’inarrestabile avanzare dei fantasmi del passato spingerà i protagonisti a sfidare le apparenze di cui sono prigionieri e, nel rincorrere una verità sempre più sorprendente, si imbatteranno in segreti antichi e nuovi nei quali saranno personalmente coinvolti. Il muro innalzato dalle apparenze da cui erano stati accecati cadrà, ma sulle macerie della sua caduta ancora una volta la realtà verrà offuscata da ‘ciò che sembra’. Nello scandagliare un passato e un presente che potrebbero essere paragonati a un deserto orfano di verità ma pieno di insidie, dovranno cercare di capire se quanto si scorge oltre le dune è un ingannevole miraggio piuttosto che l’oasi della rivelazione. Che altro non sarebbe se non l’incontro con il reale.
‘Un lembo di luce profana una notte per ricondurla al passato. Nel cielo senza luna e parco di stelle, mille lumini si immolano alle nubi per infrangerne la coltre e svelare un mistero: piccola, remota e solitaria fiamma nel cieco buio di un sepolcro ammantato dal silenzio, riflesso in uno specchio di ghiaccio.’
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I libri Poeti al video e Tendenze poetiche, nei quali sono state pubblicate alcune poesie dell’autrice.
Scoperte
L’intonso di un’anima / scoperto / dal canto d’un uccello / mentre la fiamma debole / d’una lampada primitiva / ne scioglie i sigilli.
Sussulti
Nella pioggia, / il fischio d’un treno, / per il sussulto / di un’anima / che riposa sul biancospino.
Scintille
Come sangue che stilla / da un rosso frutto umano, /cadono ad ogni attimo / piccole scintille di dolore, / sopra un cuore di latta / che batte /i suoi colpi più vuoti.
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TURIN TALES
un caffè a Torino
In questa antologia, dell’autrice troviamo il racconto Profumo di neve. Si tratta dell’esaltazione dell’amore che trascende e che può manifestarsi oltre la vita. C’è una rivisitazione di via Garibaldi, le sue chiese e le vetrine di negozi che non ci sono più, ma l’atmosfera del Natale, infiocchettata dalla caduta della neve e ovattata fra le luci di un’epoca passata, rimane intatta. Magica e mai scomparsa. Nell’antologia si susseguono racconti, nati dalla penna di numerosi autori, ambientati nei principali caffè storici torinesi, nonché una raccolta di fotografie, la storia del cioccolato, golose ricette piemontesi e una mappa dei principali musei e delle più caratteristiche caffetterie della città.
La copertina è di Maurizio Giannico.
Rotaie di vento
Fuggire la Vita
su rotaie di vento
per arrivare al fiume
che non ha corrente
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LA LUNA STORTA
WLM edizioni
Fabrizio è costretto a fuggire da Torino, lasciandosi alle spalle un cadavere e portandosi dietro il marchio di assassino. Si rifugia a Parigi, dove verrà accolto e aiutato da Marie e dai clochards di un campo vicino al Sacré Cœur. Sotto un riparo di cartone e di frasche, si scontrerà con un mondo duro da accettare, ma poco per volta imparerà ad apprezzare il valore dell’amicizia, della solidarietà, della libertà. E sempre di più amerà Torino. Lavinia. Parigi. La filosofia. E le stelle.
Il firmamento, la luna, gli astri del cielo diventeranno i suoi interlocutori. Li dividerà in gruppi, darà loro un nome e rappresenteranno i simboli dei suoi stati d’animo. Si aggrapperà alla fedeltà che gli ispirano per lasciare in serbo al loro luccichio le speranze future.
Nella costante nostalgia di Torino, fra i sobborghi, le piazze, i monumenti della Parigi esaltata dalla sua grandeur soffrirà, lotterà, studierà, lavorerà. Finché la sua vita subirà una svolta. Quando crederà di aver tacitato i sensi di colpa, questi riaffioreranno all’improvviso e lo travolgeranno con estrema violenza. Attraverso nuove, dure e avventurose esperienze si prospetteranno inaspettate svolte. Che sconvolgeranno ancora una volta la sua vita. Quella di coloro che ama. E il percorso delle stelle.
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Maddalena, già protagonista di Profumo di tiglio, si trova coinvolta – ancora una volta con gli ex compagni di infanzia – in un intricato mistero. Nel tentativo di risolverlo, s’imbatterà in altri eventi inspiegabili, si tufferà nell’atmosfera della 2° guerra mondiale e si troverà di fronte al muro elevato dai “silenzi”, dalle parole non dette, dalle cose nascoste – in un intreccio che Claudio Ozella ha definito, nella sua prefazione, un “thriller dei sentimenti” -. La protagonista scoprirà i profumi e il fascino di un rione di Villar Perosa – ël Sarèt - i cui borghigiani hanno gelosamente custodito segreti inconfessabili. Fra colpi di scena e rivelazioni inaspettate, conoscerà tradizioni e costumi di “un tempo che fu” e si batterà strenuamente per liberare i “silenzi” da una prigionia intrisa di pudori, orgogli, convenzioni.
I nove racconti che compongono il volume “Le orme violate” sono la tappa ulteriore del percorso narrativo di Luciana Navone Nosari. L’autrice, infatti, ritorna alla forma-racconto, non come un passo indietro ma ampliandone le potenzialità, in un raccordo solido e vigoroso di stile e forma che genera una perfetta coincidenza di storie e personaggi non avulsi dalla vita. Essi la incarnano autenticamente nella lotta tenace contro la violazione compiuta dalla Storia, dalla crudeltà umana, dal pregiudizio gretto e ipocrita, e anche da un malinteso senso del bene, sulle orme che avrebbero voluto imprimere alle loro esistenze, e che invece generano dei destini deviati. Luciana Navone Nosari utilizza mirabilmente i passaggi tra diversi periodi storici con perfetta padronanza del tema centrale, di cui ritrae l’incarnarsi nei protagonisti e nelle protagoniste che, in ruoli principali o secondari, appaiono sempre coerenti con il contesto storico-politico-culturale e sociale, in cui sono inseriti i loro destini. Colpisce il vigore del linguaggio, frutto di un amalgama incisivo e scolpito sulle pagine con un cesello armonioso e sintetico di italiano e espressioni dialettali. Questa sintesi esalta la vitalità e l’autenticità di personaggi e storie, riunendo in un arazzo struggente il connubio o il contrasto, tra anime di persone e anime di luoghi. I racconti si distinguono anche per un perfetto alternarsi di toni drammatici e ironici, in un incontro fecondo e originalmente rielaborato tra Piero Chiara e Boccaccio, senza cadute di stile e concessioni a effetti comici gratuiti e di bassa lega. Il valore aggiunto che trascina e coinvolge chi legge fino all’ultima pagina è il vedere riflessa la propria vita in quelle narrate, cartine di tornasole che inducono a riflessioni profonde sulle proprie scelte passate e future, e su eventi e persone che possono averle deviate. In ultima analisi, si può dire che le nove storie racchiudono anche un messaggio di speranza autentico e non falsamente retorico, in cui risalta la possibilità di riappropriarsi del proprio destino, sviluppando una capacità di empatia verso le sofferenze altrui, che si trasforma in solidarietà concreta e virtuosa, in cui io diventa noi.
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ETABETA Edizioni Dalla prefazione di Claudio Ozella:
Venti plurali
“Sui passi del vento” è il libro senza dubbio più profondo e sofferto di Luciana Navone Nosari, in cui poetessa e scrittrice s’incontrano in una sinergia creatrice dove la poesia diviene racconto e il racconto poesia, ritraendo l’anima plurale, polifonica e multicolore del mondo e dell’umanità. Quest’universo plurale investe lettori e lettrici grazie al tema di partenza il vento, che a sua volta è declinato in venti plurali che trasportano in un viaggio laddove passato, presente e futuro s’intrecciano in una circumnavigazione che parte dalla Crimea del XIX e XXI secolo, passando dalla provincia piemontese ai colori e profumi dell’Africa e dell’Afghanistan, in un duello eterno tra amore e odio, guerra e pace colti nel loro immergersi nella vita e negli affetti quotidiani di uomini e donne di cui influenzano, nel bene o nel male, i destini.
La forza del libro è nel riprendere fatti realmente accaduti e metterne a nudo la vena d’oro poetica e narrativa, in cui il vigore di Pavese, nel descrivere angeli e demoni della provincia, incontra la Provvidenza manzoniana e l’afflato francescano e benedettino dell’amore come dono e realizzazione di sé – in empatia con gli altri e non contro di loro – in cui la differenza, comunque declinata, diventa specchio e riflesso della propria capacità d’amare, non oggetto di scherno crudele o nemico politico o razziale da distruggere senza pietà e senza misericordia, in nome di un bene superiore che dovrebbe realizzare un paradiso, ma che invece sprofonda infine chi lo compie, e non chi lo subisce, nelle latèbre più profonde dell’inferno.
Il ritmo dell’opera è fluente, trascinante, implacabile nel toccare i tasti più profondi di lettori e lettrici, che come i protagonisti e le protagoniste sono costretti a fare i conti con i propri valori, i propri sentimenti e le proprie scelte, in particolare oggi e nei giorni a venire, adesso che la Storia è uscita dalle pagine dei libri, per scriverne Lei uno nuovo dal finale sconosciuto. L’autrice, infatti, non ha scritto pagine che evadono dalla realtà, ma che nascono da essa, intingendo la penna nell’inchiostro vivo della vita ricordando con parole solide, vigorose e contemporaneamente delicate – prive di retorica didascalica e di accomodamenti narrativi – la forza creativa e creatrice dell’amore; quello vero e autentico, che si sporca le mani nel terreno umano per estirpare la gramigna della sofferenza e dell’odio.
Valore aggiunto del libro è, in ultima analisi, il talento dell’autrice di dipingere con le parole entrando empaticamente nell’essenza di colori, profumi, emozioni, sentimenti, sensazioni che, in un arazzo vivente e pregnante, sono coprotagonisti, ritrovando un’alleanza primigenia di cuori.
Storia della breve vita di Marcella, che in un sogno fiabesco prosegue a vivere nel luminoso Girasole in cui si è trasformata. Da un suo petalo genererà la bianca farfalla, messaggero per la sorella Antonella che dialogherà con lei. Nel suo Altrove condurrà l’amica Tulipano a visitare quel mondo incantevole, in un alternarsi di incontri dove si analizza l’Amore dato e ricevuto, calpestato e rifiutato. Ogni fiore correda la propria storia delle emozioni, dei sentimenti e delle sensazioni che l’hanno caratterizzata.
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Dopo aver inviato a Re Carlo III il racconto “La mia Balmoral”, in omaggio alla Regina Elisabetta II e alla Borgata Saretto che l’autrice tanto ama, ha avuto la sorpresa di ricevere, dal Segretario alla Corrispondenza, i ringraziamenti del sovrano che loda il contenuto della storia, e una foto della Regina scomparsa con dedica commovente e accorata nella quale condivide le emozioni descritte.
La mia Balmoral
C’era un luogo – Balmoral – che la regina Elisabetta amava molto; si dice vi si rifugiasse alla ricerca di quella serenità di mente e di spirito che non trovava nei Palazzi londinesi, dati gli impegni che colà doveva assolvere.
La residenza, che si trova in Scozia, occupa una superficie di 20000 ettari costituiti, oltre che dall’imponente castello, da boschi, terreni agricoli, allevamenti di bovini, brughiere e ampie aree verdi impreziosite dai rari pini della Caledonia. La regina prediligeva recarsi presso gli spumeggianti torrenti che raggiungeva sia in auto sia a cavallo, percorrendo le vaste distese in compagnia degli amati cani che non la lasciavano, e non lasciava, mai. Non era neppure inconsueto che si imbattesse nei cervi rossi – razza a rischio estinzione – e nella numerosa fauna, tutti accuratamente salvaguardati. I domestici, i pastori, i guardiacaccia, gli impiegati, gli operai, i giardinieri erano sempre pronti a riceverla e a esaudire i suoi desideri.
Mi è facile immaginare la gioia, il senso di appagamento e di distensione provati da Elisabetta II quando vi si recava, perché anch’io ho la mia piccola, minuscola Balmoral, che mi dona delle emozioni, delle sensazioni di pace e di serenità che non trovo in alcun altro luogo: la Borgata Saretto di Villar Perosa. Qui mi accoglie la casa che per anni ho desiderato e cercato. La sognavo con una “storia”, i muri storti, un giardino con molte rose e un prato. Dopo aver visitato numerose dimore deludenti, non appena l’ho vista me ne sono innamorata. L’avevo trovata! Al primo impatto, mi avevano incantata le innumerevoli piante di rose che gremivano le aiuole, il giardino, ogni angolo del cortile. Miriadi di corolle sovrastavano ogni cosa, insieme al tappeto di petali che sfumava i rossi con i gialli, i bianchi, gli aranci. Il profumo che emanavano mi aveva seguito sino al piccolo prato, sul cui fondo avremmo poi fatto installare, insieme a due sofore “piangenti”, un pozzo, niveo come la panchina ombreggiata dalla vite di uva fragola bianca e dalla pianta di kiwi… Ho subito individuato il largo scalino su cui mi sarei seduta e appartata per farne il mio “angolo del silenzio”. Silenzio che mi accoglie la notte, quando mi siedo su quell’ampia pietra per ascoltare il solo rumore che lo spezza: il frinire dei grilli. Ė da lì che fisso gli occhi al cielo per osservare le varie fasi della luna, e mi accontento di trovarvi soltanto le stelle quando per sette giorni il nostro satellite le rende orfane, però è gioia grande la sera in cui appare la minuscola falce ad annunciarmi che, se avrò pazienza, arriverà il momento in cui potrò ammirarne la piena luce. Ė sempre su quel gradino umido di pioggia che, dopo un temporale, mi piace sentirmi sfiorare dalla caduta dei petali della bignonia grevi di acqua, e osservare le code di fuggiasche lucertole agitarsi fra le crepe del muro, mentre frenetici battiti d’ali annunciano la corsa ai nidi delle cinciallegre. In quei frangenti non stacco gli occhi dai monti, luccicanti nel rosa del pigro tramonto di un sole che, appena riapparso, già tende all’ultimo atto del giorno: andare a dormire dietro i crinali. Intanto, l’effervescente canto del vicino ruscello si accorda con il silenzio che gradualmente sfuma.
Chissà se la regina Elisabetta fra le brughiere, i boschi, i giardini di quell’angolo di Scozia ha provato, come me in tali circostanze, quel frullio del cuore scrigno di un guizzo di felicità. Se così è stato, me ne rallegro per lei… Sono certa che esistano tante “gemelle” di Balmoral in giro per il mondo, siano esse piccole o grandi, fra i monti, in campagna o al mare, capaci di attenuare guai e malumori e di attizzare guizzi di gioia e di felicità. Non sono difatti, dei luoghi, né le estensioni né le ubicazioni a fare la differenza e a essere importanti, bensì le sensazioni e le emozioni che essi suscitano in noi.
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Il marito Beppe, la figlia Sara con Massimo, Chiara Luce e la piccola Viola, il figlio Antonio e la gatta Sofia.